La musica è per sua natura un aggregatore sociale.
Chiunque abbia cantato in gruppo anche solo una volta nella vita conosce quel senso di comunione profonda, di complicità e intesa che si genera spontaneamente, e certamente se ne ricorda; i momenti di incontro lasciano traccia.
La musica è per sua natura un aggregatore sociale.
Chiunque abbia cantato in gruppo anche solo una volta nella vita conosce quel senso di comunione profonda, di complicità e intesa che si genera spontaneamente, e certamente se ne ricorda; i momenti di incontro lasciano traccia.
Potremmo parlare del ruolo che la musica svolge all'interno di momenti rituali, di comunione e festivi in ogni comunità.
Potremmo parlare dei canti di lavoro, in cui la musica organizza e sincronizza l'attività generando un senso di appartenenza condiviso, che diventa anch'esso di comunità. Un aspetto che personalmente trovo affascinante è il ruolo che la musica ricopre nelle prime interazioni tra caregiver e bambino; molto prima che il linguaggio verbale possa veicolare l'interazione, la musica si offre come strada maestra per l'incontro.
L'argomento è così vasto che di ogni aspetto menzionato si potrebbe parlare per ore, ma oggi ci interessiamo di un particolare tipo di comunità: il gruppo classe.
Entrando a far parte di una classe, ogni bambino entra di fatto in una nuova comunità, con regole e consuetudini ben diverse dalla comunità familiare a cui è abituato.
Ecco che da una relazione basata sull'asimmetria di ruolo, come quella tra genitore e figlio, il bambino approda alla relazione tra pari. Ognuno arriva a questo momento con una storia diversa, che comporta un diverso equipaggiamento con cui attraversare l'esperienza.
Inutile dire che si tratta di un momento cruciale, in cui confrontandoci con la socialità impariamo a definire chiavi di lettura applicabili a noi stessi e all'altro. A mio parere, un laboratorio che si avvalga della musica è uno strumento ideale per accompagnare non solo il singolo che si confronta con il gruppo, ma il gruppo stesso nel delineare la propria identità.
Solitamente, entrando in una nuova classe mi trovo all'interno di una comunità costituita da piccoli gruppi e da qualche elemento satellite, che oscilla tra vari gruppi o che fatica a collocarsi in ottica gruppale. Per quanto ogni classe sia diversa e unica alcuni aspetti sono ricorrenti, anche se si presentano in modo più o meno marcato. Ad una marcata disgregazione sociale corrispondono spesso una marcata colpevolizzazione dell'errore e una spiccata competitività.
È proprio da qui che parto, strutturando attività che stimolino la cooperazione piuttosto che la competizione, mentre un lavoro sotteraneo mira a a favorire l'accoglienza dell'errore proprio e altrui, spostando l'obiettivo dal successo di performance al sostegno del gruppo stesso.
La metafora orchestrale è particolarmente proficua, e si colloca nell'immaginario come un gruppo coeso, capace di disporsi in ascolto, di partecipare senza prevalere, ma anzi trovando nel contributo comune la sua unica possibilità di riuscita.
Ecco un obiettivo verso il quale tendere insieme: diventiamo un'orchestra.
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